IL GUSTO E' RELAZIONE E CONSAPEVOLEZZA

lunedì 13 ottobre 2014

NICOLAS JOLY VERTICALE LA COULEE DE SERRANT



Ho lasciato che questa esperienza, vissuta lo scorso Aprile presso la rassegna di vini naturali Viniveri a Cerea, si sedimentasse fino ad oggi, per proporvela rendendovi partecipi dell’entusiasmo e convinzione che Nicolas Joly ha verso l’approccio Biodinamico considerandolo il migliore possibile.

Dalle piante fino all’uva, l’energia, la luce ed il sole svolgono un ruolo determinante ed in larga parte superiore rispetto al suolo”, esordisce. “La biodinamica agisce proprio nei confronti dell’energia.
L'energia arriva dal sole e dalle frequenze d'onda” , continua “e l’inquinamento fisico è differente da quello energetico”. 

E’ altresì convinto che a causa delle interferenze energetiche il clima sia destinato a peggiorare a tal punto che  non si possa stimare ancora per quanto tempo potranno esserci vendemmie.

Ma la biodinamica a cosa serve quindi ?

La Biodinamica agisce come un telefono portatile ed ogni preparato biodinaminco è come un numero di telefono che mette in comunicazione l'energia con le sostanze, dalle radici alle foglie”, risponde, “Ogni preparato biodinamico serve a rafforzare l'energia”.

Per Joly più la viticoltura favorisce l’energia, meno si lavora in cantina ed il ruolo dell’enologo  diventa quello di assistente della natura.
 
La viticoltura tradizionale peggiora le precondizioni per poi intervenire artificialmente in cantina”, continua, rincarando la dose.

Il suo lavoro è certosino e metodico fino alla vendemmia affinchè le piante si autodifendano attraverso i preparati biodinamici favorendo così le condizioni energetiche. Poi in cantina è spettatore.

“La perfezione non esiste, esistono le emozioni che sono vibrazioni, cioè energia” sottolinea con convinzione.

Quando iniziare la vendemmia ?

Per Joly si vendemmia troppo presto in genere. Si deve attendere la maturità completa, si guadagna in grado alcolico e ricchezza. “La gradazione alcolica non è un problema se si fa buona enologia.” 

Diluisce la vendemmia in 3 o 4 settimane perchè è convinto che, se raccolta a settimane di di dstanza, l’uva si struttura differentemente e fornice maggiore complessità.
Non adotta selezioni clonali, la selezione massale dona maggiore complessità.
In cantina localizza i tini nei luoghi più freschi e lascia che la natura faccia il suo corso durante le macerazioni che sono lunghe (3 o 4 mesi).  Un solo travaso fino ad Aprile. La malolattica viene lasciata libera.

Oggi  si tende a voler controllare tutto ma la natura è diversità, per questo non operiamo nessun controllo della temperatura in cantina”, dichiara con convinzione.

I vini rimangono sui lieviti per 6 o 7 mesi. Non esegue nessun filtraggio perchè trattiene sostanze importanti ed indebolisce il vino.
Per l’affinamento utilizza tonneaux e barrique vecchie ben pulite con il vapore, mai legno nuovo.
Per Joly i rischi durante la conservazione del vino sono dettati dal ph e dalle condizioni del trasporto e stoccaggio.

L'acido ascorbico può rimpiazzare lo zolfo. Lo zolfo minirale o vegetale non è un nemico” conclude.

Infine ci parla dello Chenin Blanc.  La vera Denominazione è il luogo. Bisogna mettere in bottiglia il luogo”.

Le sue viti crescono in pieno inerbimento, con attorno un’atmosfera naturale molto variegata ( campi, boschi, animali ... ). Le piante soprattutto possono aiutare la vigna, così come l’omeopatia, le tisane ed i vortici della biodinamica perchè valorizzano l’energia.
Osservare il comportamento delle vecchie vigne aiuta nella scelta della modalità di allevamento dei filari.

Lo Chenin Blanc è una varietà difficile, richiede molte attenzioni e deve trovarsi nel suo clima ideale. Predilige la luce (annate: 2002,2008,2009) e soffre il caldo (annate: 1995,2007,2003).
Le annate di luce danno vini femminei, fini, introversi.
La 2001, 2010, 2004 sono annate che hanno sofferto l’umidità e la botrite.
Rese basse, 25 ettolitri per ettaro.

“Lo Chenin Blanc invecchia bene” conclude “Bisogna risvegliarlo con lo scaraffaggio. Se il vino è vitale l'ossidazione lo risveglia. Il vino vitale anche dopo giorni dall'apertura cerca di resiste all'ossidazione autodifendendosi

ANNATE DELLA VERTICALE











 
2011 (Annata diplomatica)
Colore: Paglierino chiaro, dorato.
Naso: Etereo, leggero spunto ossidativo, accenni di frutta bianca ed esotica, floreale.
Palato: Corrispondente, acidità buona e non invadente, alcol che scalda in lunghezza.
Il più dritto perchè giovane.





 
2009 (Annata di luce)
Colore: Giallo paglierino chiaro con accenni dorati
Naso: Ossidativo, quasi torbato, leggera pera, lavanda
Palato: Ancora frutti bianchi (leggera pera) e lavanda, pai torbata
Il più fine e introverso. Di prospettiva.






2004 (Annata di nebbia e umidità)
Colore: Giallo paglierino carico, dorato. Il più scuro di tutti.
Naso: Leggera ossidazione, frutta bianca matura, canfora
Bocca : Corrispondente e mielata. Non stucchevole.
Molto pieno, botritico.









1995 (Annata calda)
Colore: Paglierino carico dorato.
Naso: Simile al 2004 ma più equilibrato. Miele, frutti bianchi maturi, fiori di campo, canfora.
Palato: Corrispondente con l'aggiunta di sensazioni di buccia di mela ed una acidità agrumata che sorregge bene l'annata calda. Alcol gestito bene.
Pieno.

 

giovedì 3 luglio 2014

INCONTRI: IL SENSO DI GIUSEPPE RINALDI PER IL VINO


 Avvicinare ed incontrare un così popolare, istrionico, eclettico vignaiolo, contadino e poeta langarolo, nel contempo schivo e reticente in quanto a clamore mediatico, non è impresa semplice.
Durante il nostro tour nelle Langhe, tra vigneti e degustazioni, in occasione della designazione del territorio come patrimonio dell'umanità, tramite Gianluca Colombo dell'Azienda Segni di Langa, abbiamo avuto il piacere e l'onore di trascorrere qualche ora con Giuseppe Rinaldi, il "Citrico".

Prima di farvi partecipi dell'incontro, per chi non conoscesse l'azienda, ecco qualche informazione.

L'azienda nasce nel 1890, fondata da Battista Rinaldi che coltivava le vigne del Feudo dei Marchesi Falletti di Barolo e che in seguito divenne proprietario, inizialmente vendendo l'uva e successivamente, con l'aiuto dei figli,  iniziando a fare vino.
Nello stesso solco di tradizione famigliare e contadina oggi dopo cinque generazioni Giuseppe Rinaldi e la figlia Marta continuano a condurre l'azienda producendo vino esclusivamente dai 6,5 ettari vitati di proprietà.
I vitigni impiantati sono Nebbiolo, Barbera, Freisa, Ruchè e Dolcetto, per una produzione totale di circa 40.000 bottiglie. Il Barolo viene prodotto da circa il 60% degli ettari vitati, dai vigneti Brunate, Le Coste, Cannubi-San Lorenzo, Ravera. L'assemblaggio viene fatto anche tra vigneti differenti a seconda delle esigenze dell'annata per conferire maggior equilibrio ai vini.
Le vigne vengono lavorate senza l'utilizzo di prodotti chimici o  diserbanti. La vinificazione è tradizionale con un utilizzo ragionato di anidride solforosa e l'affinamento avviene in botti grandi di Rovere.

Dopo aver suonato, apprendiamo che la figlia Marta non c'è e che Giuseppe ci avrebbe raggiunto nel giardino con vista verso le vigne. Dopo un bel pò di tempo, tale da dubitare dell'arrivo, eccolo.
Ha un'aria quasi assente ma distesa, il sigaro in bocca, ci osserva con la diffidenza di chi vuole capire. "... da dove venite, che lavoro fate?..." ci chiede con arguzia, accendendosi il sigaro.

Quando Francesco, gli dice di essere un meccanico della Moto Guzzi, gli si illuminano gli occhi e scopriamo che, oltre ad essersi occupato di veterinaria per poi diventare enologo e vignaiolo ed anche poeta, è un appassionato di moto d'epoca.
Inevitabilmente il discorso si fa ricco di aneddoti ed esperienze inerenti al mondo delle moto d'epoca, mostrandoci la sua passione per il restauro delle Lambrette. La pazienza, la cura e la coerenza  con cui restaura le Lambrette evidenzia quanta passione abbia nel far rivivere nel mondo di oggi lontane tradizioni, sapienze di artigianato, emozioni. L'esperienza della Barolo-Taranto in Lambretta che ha raccontato, rivivendola, ne è un esempio.

Si alza e si dirige verso la casa, finalmente si parla di vino, lo incalzo. "E perchè?" risponde.
Apre il garage e con orgoglio ci mostra una Lambretta gialla messa a nuovo ed in strada. Passando dall'appartamento per scendere in cantina, ecco un'altra lambretta bianca anch'essa ristrutturata.
Scendiamo in cantina e subito si dirige verso il suo laboratorio dove ci mostra le lambrette ancora da ristrutturare, guardandole con aria di chi sa già scorgere il risultato finale.
Cerco di farlo parlare di vino chiedendogli a quale tipo di moto paragonerebbe il suo vino. Mi risponde, un pò in maniera "paracula", Moto Guzzi.

Completamente catapultati nella storia passata, seppur relativamente recente siamo nella parte adibita ad ufficio e sala degustazione. Trasuda di storia e cultura, per le bottiglie vuote presenti, i richiami storici appesi al muro e gli oggetti che la compongono inclusa una antica tappatrice manuale posta al centro.Precisi richiami culturali e storici denotano quanto sia una persona colta e di spirito libero.

Ci accompagna, attraverso le grandi botti  di rovere da invecchiamento, fino ad un tino centenario enorme e lo sguardo si illumina come per le lambrette. Questo tino ospita la fermentazione dei vini più importanti con seguente macerazione, a seconda dell'annata. Il vino finisce in acciaio per 15 giorni per poi invecchiare nelle grandi botti di rovere dove rimane per 3 anni, ma non nella stessa botte.

"Ho già parlato troppo di vino" - dice - " vedete questa vecchia pompa ?, ecco io la utilizzo ancora. L'ottone è ancora il materiale migliore. Oggi non ne fanno più di così solide.".

Davanti alle botti di rovere ci spilla direttamente il Brunate atto a divenire Barolo 2011 e ci racconta un paio di aneddoti divertenti della sua vita. Beviamo avvolti da una conviviale ilarità. Il vino è ottimo, si sente la tensione tannica ed austera del nebbiolo accompagnata da una succulenza e lieve morbidezza data forse da una annata un pò calda o dalla esposizione e terreno di quel Cru. Gli chiedo quale suo Barolo è meglio acquistare oggi e mi dice sommessamente, annata 2010.

Improvvisamente irrompe la moglie che lo richiama alle faccende domestiche non ancora sbrigate. "E' arrivata la tigre" - ci dice - capiamo che dobbiamo congedarlo.


Mentre ci allontaniamo ci chiediamo, ma non si è parlato di vino, o forse si ... e non ce ne siamo nemmeno accorti.
La sera stessa, presso il ristorante Bovio a La Morra indovinate quale vino rosso abbiamo ordinato ? Barolo Brunate 2010, Giuseppe Rinaldi

sabato 31 maggio 2014

IO BEVO COSI' 2014


Torna subito in mente l'incipit del romanzo I Promessi Sposi del Manzoni, ammirando il paesaggio lungo le sponde del fiume Adda che fa da cornice alla prima rassegna di vini naturali e di territorio Io Bevo Così.
L'antico Monastero del Lavello a Clolziocorte ha ospitato circa 100 vignaioli che hanno proposto in assaggio oltre 300 vini (qui la lista) per una kermesse che ha soddisfatto anche i palati più esigenti attraverso stand gastronomici di elevata qualità e la cucina Slow Cocking impreziosita dalla presenza dello chef stellato Stefano Masanti. Durante la manifestazione si sono svolti anche due laboratori di degustazione di olio e di abbinamento vino e cioccolato.
Ma andiamo con ordine. Chi sono Luca dell'Orto (Chef del Ristorante San Gerolamo), Andrea Sala (azienda That's Wine distributrice di vini naturali,biodinamici) ed Andrea Pesce (enoteca, wine bar "Vini e Più" di Cantù) ?
Tre giovani coraggiosi imprenditori accomunati dalla passione per una enogastronomia sana e naturale, che si sono uniti con l'intento di diffondere una idea di gusto non convenzionale attraverso la neonata associazione "Io bevo così".

La loro temerarietà ha avuto una ulteriore controprova nel fatto di aver scelto il loro territorio, non facile e non avvezzo a questo tipo di manifestazioni, come sede per la prima edizione di questa kermesse.
Dunque l'evento Io Bevo Così nasce in sordina sulle sponde dell'Adda, accompagnato da un clima incredulo ed anche un pò scettico, ma sostenuto dalla tenacia, forza morale e voglia di crederci di questi tre giovani imprenditori che hanno avuto il coraggio di affrontare dubbi, incertezze e paure, presentando ad un pubblico nuovo, una rassegna di tutto rispetto, non esente da qualche errore di gioventù ma certamente migliore di altre anche più rodate.
Il risultato finale è stato certamente un successo, in termini di attenzione per l'evento, qualità dei visitatori ed afflusso che ha superato i 1000 ingressi.
Dunque ragazzi, Avanti ... Così, perchè sentiremo ancora parlare di voi ed è certo che Io Bevo Così saprà ritagliarsi lo spazio che merita all'interno delle manifestazioni nazionali di settore.


Aggirandoci nei giardini, chiostri e balconate del monastero, come al solito vogliamo farvi partecipi dei nostri migliori sorsi naturali, sempre alla ricerca di aziende giovani e a noi "sconosciute". Possiamo subito dire che abbiamo incontrato vignaioli giovani ed entusiasti del loro lavoro, la cui passione si riversa automaticamente nei loro vini.

Oltre alle bollicine consolidate di Cà del Vent, Casa Caterina e al prosecco di Frozza; la nostra attenzione e palato sono stati rapiti dallo Spumante sur lie da Fiano in purezza realizzato da Casebianche.
Presa di spuma in bottiglia ottenuta attraverso l'aggiunta dello stesso mosto. Classica bottiglia con tappo a corona. Colore giallo intenso leggermente intorbidito dalla presenza dei lieviti. Naso schietto, agrumato, nette le sensazioni di pompelmo, mela verde e a tratti salmastre. Palato corrispondente, dritto, dissetante, sapido. Vino spensierato, con una acidità sorprendente, aggressiva, capace di trascinarvi in una beva compulsiva. Happy Hour arcaico.

Per quanto riguarda i vini rosati, impossibile non evidenziare quello dell'azienda Graci, degno dei miglior Bandol. Etna Rosato 2013 da uve Nerello Mascalese, è il nuovo nato per questa azienda e ne vengono prodotte poche bottiglie. Vino elegante, suadente nei fruttini con una buona spalla minerale.
Suadente.

I bianchi ancestrali senza compromessi, di Gilles e Ctherine Vergè sono una tappa obbligata.
5 ettari di Chardonnay in terreni calcareo argillosi in quel di Virè. Gestione biodinamica in vigna e senza solfiti aggiunti in cantina. La AOC Virè-Clesse è di recente costituzione con data 1999 e prevede come vitigni solo lo Chardonnay. Le vigne di Gilles e Catherine vanno da 75 a 120 anni di età. I vini hanno necessità di aprirsi ed appartengono a quella categoria di vini vivi che cambiano durante la beva stessa. Danno il loro meglio una volta che nel bicchiere si puliscono da note ossidative iniziali. La mineralità è la spina dorsale di questi vini che assieme alla acidità contrasta esemplarmente incursioni di frutta bianca e ginestra. Il loro meglio lo danno dopo un'ora dall'apertura. Diventano più fini, minerali, sapidi ed agrumati. Piaciuto il Vielles Vignes sia 2008 che 2009.
Chardonnay senza compromessi.

Ora siamo sulla balconata del monastero ed incontriamo i vini di Tommaso Gallina, azienda Fato nel Monferrato e precisamente a Castelletto Merli. I vitigni affrontati da questa azienda sono la Barbera, il Grignolino, la Freisa, il Cortese e l' Arnais. La filosofia è chiara. Solo lieviti autoctoni, solo fermentazione spontanea, nessun intervento di modifica al mosto, nessuna filtrazione. Ci ha colpito una Barbera rustica, viscerale, potente, autentica ed il vino ancestrale stile Orange da uva Cortese, imbottigliato quando è ancora in fermentazione.
Stoico.

Rimanendo in Piemonte hanno catturato la nostra attenzione i vini dell'azienda Stella di Castiglione d'Asti.
Vini ben fatti, territoriali. Ottimi la Barbera ed il Grignolino.
Affidabilità ed aderenza al territorio.

Sempre in Piemonte è da sottolineare il coraggio dell'azienda Segni di Langa nel proporre un Pinot Nero semplice, elegante, mai banale.
Da seguire.

Della Toscana sempre sugli scudi Porta di Vertine, Pacina, Pietroso, ma ancora una volta vogliamo sottolineare un'azienda a noi sconosciuta che ci ha incuriosito e favorevolmente atratto.
Si tratta dell'azienda Podere Luisa in quel di Montevarchi, Arezzo.Viscerale, territoriale, espressione della filosofia contadina dell'azienda il Chianti nella versione base e riserva 2010.
Contadino.

La valtellina ben rappresentata, meritano una sottolineatura i vini di Barbacan, Buzzetti, Mozzi, Boffalora, Dirupi, ottima la riserva 2010, croccante e leggermente balsamica. La 2011 annata calda, un  pò sottotono. Grande per finezza ed eleganza Ultimi Raggi 2006 per Ar.Pe.Pe con una intrigante nota di zucchero a velo.


Ottima la selezione dei vini presentata da Les Caves de Pyrene con in evidenza Bonavita Faro 2011, lo schioppettino di Bressan, il Pinot Noir di Derain ed il Syrah molto particolare di Hervè Souhaut che sembra un Pineau D'Aunis della Loira.

lunedì 21 aprile 2014

VINIVERI 2014

Questa edizione di ViniVeri 2014 è stata un vero successo. Trainata dalla presenza dei vignaioli della  Renaissance des Appellations con a capo Nicolas Joly, impreziosita dagli incontri con Silvia Pérez-Vitoria e  Jonathan Nossiter e dedicata ad Emmanuel Giboulot, viticoltore francese condannato dal Tribunale di Digione per essersi rifiutato di usare pesticidi, ha raggiunto il record di 154 vignaioli e 14 aziende agroalimentari presenti, oltre ad un afflusso di  migliaia di addetti ai lavori ed appassionati.
Finalmente sembra che l'attenzione si stia facendo sempre più intensa verso questi vignaioli che da anni producono il vino condividendo la stessa filosofia di ripristino dell'equilibrio della natura, per raggiungere, senza l’uso della chimica di sintesi e senza addizioni e stabilizzazioni forzate in cantina, il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo e i cicli della natura.


 La Renaissance des Appellations ha spostato la nostra attenzione quest'anno verso vini d'oltralpe con un ochhio lungo anche per la nostra amata Italia sempre rappresentata magistralmente da vignaioli sorprendenti.

Fleury Champagne de la Cote de Bar, gessosi, dritti, con una mineralità ed acidità sferzanti. La marma tagliente  di una Champagne senza compromessi. TAGLIENTE.
Nikolaihof, uno dei produttori più rappresentativi nel panorama del rinascimento vitivinicolo naturale austriaco. L'ascesa verticale fino ai più longevi Gruner Veltliner e Riesling è davvero impressionante. Vini precisi, rappresentativi del territorio e del varietale, dalle potenzialità di affinamento in bottiglia esaltanti. Acquisiscono complessità man mano passa il tempo e contemporaneamente ti appagano anche da giovani. Esuberanza giovanile, maturità e saggezza quando datati.


Mars Blanches. Partiamo dagli Chardonnay dove non riusciamo ad apprezzare appieno un Blanc de Blanc leggermente disturbato con lieviti in evidenza ed il En Levrette 2012, uno Chardonnay giovane, ancora slegato tra acidità e tocco vanigliato. Arriviamo poi al Vin Jaune 2006 e quì ci siamo. Note ossidative dello Jura con uno spettro fruttato che approda fino alla frutta secca, buona acidità in lunghezza.




Clemens Bush. I suoi  riesling non tradiscono mai. Semplici, mai banali, rappresentativi di un varietale che, se letto attentamente, fornisce delle sensazioni uniche, profonde. L'equilibrio da residuo zuccherino morbido, piacevole, con sensazioni fruttate, realizzato con l'acidità tagliente, esuberante; quando si compie attraverso il legame tratto da una mineralità e aromaticità sussurrata, è certezza di un appagamanto psicofisico che non ha eguali.


Domaine Saint Nicolas. Qui gli Chenin Blanc Le Poire e Soleil de Chine si caratterizzano per un residuo zuccherino un po troppo accentuato. Si fa preferire maggiormente Le Naut de Clous più cremoso con note di frutta bianca sorretto da un'ottima acidità e caratterizzato da una curiosa e leggera  nota a metà strada tra la lavanda e la "naftalina". Il miglior sorso però è dato dal blend Chenin Blanc, Chardonnay dove un naso iodato ed una acidità agrumata sostengono molto bene la "contaminazione" dello Chardonnay.

E gli italiani ?

Castellada. Siamo ad Oslavia, una frazione collinare di Gorizia. La combinazione di un terreno arenario, marnoso con un microclima favorito da una ventilazione ed escursione termica ottimali, determina le condizioni ideali per una viticoltura senza utilizzo di chimica. Il vino che ha polarizzato maggiormete la nostra attenzione è stato il Collio Rosso La Castellada, annata 2001. Un vino gustoso, ricco, impreziosito da sentori terziari che iniziano ad emergere e che gli donano una complessità e lo elevano di statura. Una lotta tra Merlot e Cabernet ben risolta in un equilibrio magistrale. A conferma ancora una volta che il Merlot di queste zone assume caratteristiche uniche.

Rosi. Di questo produttore del Trentino ci piace tutto. La semplicità, la disponibilità, la trasparenza, la testardaggine del genio. Sembrerebbe incompreso, perchè fa un Marzemino al limite del disciplinare ma pieno di una ricerca e di una adeguatezza territoriale che meriterebbe un'attenzione differente e meno sospetto. Il sorso che più ci ha convinto ed entusiasmato è quello del Anisos. Composto per il 50% da Nosiola, 30 % da Pinot Bianco e 20% da Chardonnay per l'annata 2011. Vino pieno con una dolcezza che va da note mielate ad una cremosità quasi da burro, sostenuto da una speziatura resinosa, leggermente amaricante, a tratti floreale ben sostenuto da una ottima lunghezza agrumata e rinfrescante. Un vino da servire scaraffato e non troppo freddo. La versione dell'annata 2009 ha una composizione di uve differente in percentuale. 55% Pinot Bianco, 35% Nosiola e 15% Chardonnay. Qui abbiamo uno stile più affilato, i sentori mielati sono attenuati da una speziatura ed un frutto di pera dissetante netti senza far venir meno la complessità generale. Vino lunghissimo, complesso. CHAPEAU !

Ferrandes. Sull'isola di Pantelleria questa azienda agricola produce capperi, olio d'oliva, uva passa e vino. Tradizione, qualità, rispetto per la natura. Ecco descritti i valori di questa realtà. Fare agricoltura su questa isola seguando i dettami del vino naturale, senza chimica è un'impresa eroica. Per il passito, l'appassimento dell'uva Moscato d'Alessandria ( Zibibbo) viene effettuato su stenditoi a ridosso dei muri di pietra lavica fino ad un massimo di 15 giorni. La tecnica di vinificazione avviene aggiungendo uva passa al vino secco aumentando via via la concentrazione zuccherina e di conseguenza l'alcol. La sensibilità dell'enologo, capendo anche la qualità dell'uva che l'annata gli ha proposto,  è fondamentale. Quindi possiamo definire questo passito come figlio della natura e della sensibilità umana. Infatti non manca di trasmetterci la sua carica emotiva anche nel bicchiere. Partendo da un colore ambrato scuro, più marcato rispetto ai passiti tradizionali, nell'annata 2007 si esprime tutto in fragranza, uvetta passa, buccia di agrumi candita, dove la sensazione dolce prevale sulla spinta acida. Lo spettro gustativo dell'annata 2006 è più ampio. Uva passa, canditi, frutta secca, miele, note tostate, caramello, carruba ed una acidità corroborante. Lunghissimo, intenso, complesso.     NON UN PASSITO MA ... IL PASSITO