giovedì 3 luglio 2014

INCONTRI: IL SENSO DI GIUSEPPE RINALDI PER IL VINO


 Avvicinare ed incontrare un così popolare, istrionico, eclettico vignaiolo, contadino e poeta langarolo, nel contempo schivo e reticente in quanto a clamore mediatico, non è impresa semplice.
Durante il nostro tour nelle Langhe, tra vigneti e degustazioni, in occasione della designazione del territorio come patrimonio dell'umanità, tramite Gianluca Colombo dell'Azienda Segni di Langa, abbiamo avuto il piacere e l'onore di trascorrere qualche ora con Giuseppe Rinaldi, il "Citrico".

Prima di farvi partecipi dell'incontro, per chi non conoscesse l'azienda, ecco qualche informazione.

L'azienda nasce nel 1890, fondata da Battista Rinaldi che coltivava le vigne del Feudo dei Marchesi Falletti di Barolo e che in seguito divenne proprietario, inizialmente vendendo l'uva e successivamente, con l'aiuto dei figli,  iniziando a fare vino.
Nello stesso solco di tradizione famigliare e contadina oggi dopo cinque generazioni Giuseppe Rinaldi e la figlia Marta continuano a condurre l'azienda producendo vino esclusivamente dai 6,5 ettari vitati di proprietà.
I vitigni impiantati sono Nebbiolo, Barbera, Freisa, Ruchè e Dolcetto, per una produzione totale di circa 40.000 bottiglie. Il Barolo viene prodotto da circa il 60% degli ettari vitati, dai vigneti Brunate, Le Coste, Cannubi-San Lorenzo, Ravera. L'assemblaggio viene fatto anche tra vigneti differenti a seconda delle esigenze dell'annata per conferire maggior equilibrio ai vini.
Le vigne vengono lavorate senza l'utilizzo di prodotti chimici o  diserbanti. La vinificazione è tradizionale con un utilizzo ragionato di anidride solforosa e l'affinamento avviene in botti grandi di Rovere.

Dopo aver suonato, apprendiamo che la figlia Marta non c'è e che Giuseppe ci avrebbe raggiunto nel giardino con vista verso le vigne. Dopo un bel pò di tempo, tale da dubitare dell'arrivo, eccolo.
Ha un'aria quasi assente ma distesa, il sigaro in bocca, ci osserva con la diffidenza di chi vuole capire. "... da dove venite, che lavoro fate?..." ci chiede con arguzia, accendendosi il sigaro.

Quando Francesco, gli dice di essere un meccanico della Moto Guzzi, gli si illuminano gli occhi e scopriamo che, oltre ad essersi occupato di veterinaria per poi diventare enologo e vignaiolo ed anche poeta, è un appassionato di moto d'epoca.
Inevitabilmente il discorso si fa ricco di aneddoti ed esperienze inerenti al mondo delle moto d'epoca, mostrandoci la sua passione per il restauro delle Lambrette. La pazienza, la cura e la coerenza  con cui restaura le Lambrette evidenzia quanta passione abbia nel far rivivere nel mondo di oggi lontane tradizioni, sapienze di artigianato, emozioni. L'esperienza della Barolo-Taranto in Lambretta che ha raccontato, rivivendola, ne è un esempio.

Si alza e si dirige verso la casa, finalmente si parla di vino, lo incalzo. "E perchè?" risponde.
Apre il garage e con orgoglio ci mostra una Lambretta gialla messa a nuovo ed in strada. Passando dall'appartamento per scendere in cantina, ecco un'altra lambretta bianca anch'essa ristrutturata.
Scendiamo in cantina e subito si dirige verso il suo laboratorio dove ci mostra le lambrette ancora da ristrutturare, guardandole con aria di chi sa già scorgere il risultato finale.
Cerco di farlo parlare di vino chiedendogli a quale tipo di moto paragonerebbe il suo vino. Mi risponde, un pò in maniera "paracula", Moto Guzzi.

Completamente catapultati nella storia passata, seppur relativamente recente siamo nella parte adibita ad ufficio e sala degustazione. Trasuda di storia e cultura, per le bottiglie vuote presenti, i richiami storici appesi al muro e gli oggetti che la compongono inclusa una antica tappatrice manuale posta al centro.Precisi richiami culturali e storici denotano quanto sia una persona colta e di spirito libero.

Ci accompagna, attraverso le grandi botti  di rovere da invecchiamento, fino ad un tino centenario enorme e lo sguardo si illumina come per le lambrette. Questo tino ospita la fermentazione dei vini più importanti con seguente macerazione, a seconda dell'annata. Il vino finisce in acciaio per 15 giorni per poi invecchiare nelle grandi botti di rovere dove rimane per 3 anni, ma non nella stessa botte.

"Ho già parlato troppo di vino" - dice - " vedete questa vecchia pompa ?, ecco io la utilizzo ancora. L'ottone è ancora il materiale migliore. Oggi non ne fanno più di così solide.".

Davanti alle botti di rovere ci spilla direttamente il Brunate atto a divenire Barolo 2011 e ci racconta un paio di aneddoti divertenti della sua vita. Beviamo avvolti da una conviviale ilarità. Il vino è ottimo, si sente la tensione tannica ed austera del nebbiolo accompagnata da una succulenza e lieve morbidezza data forse da una annata un pò calda o dalla esposizione e terreno di quel Cru. Gli chiedo quale suo Barolo è meglio acquistare oggi e mi dice sommessamente, annata 2010.

Improvvisamente irrompe la moglie che lo richiama alle faccende domestiche non ancora sbrigate. "E' arrivata la tigre" - ci dice - capiamo che dobbiamo congedarlo.


Mentre ci allontaniamo ci chiediamo, ma non si è parlato di vino, o forse si ... e non ce ne siamo nemmeno accorti.
La sera stessa, presso il ristorante Bovio a La Morra indovinate quale vino rosso abbiamo ordinato ? Barolo Brunate 2010, Giuseppe Rinaldi

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